"... rifiutarsi di comprare robaccia, imbrogli, roba che non dura niente e non deve durare niente in omaggio alla sciocca legge della moda e del ricambio dei consumi per mantenere o aumentare la produzione." Così scriveva Goffredo Parise in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 30 giugno del 1974. Colpisce La lucidità di quel messaggio, temporalmente lontano ma così vicino a noi, raccogliamo l'attualità della sua indignata denuncia, testimonianza dell'Italia del boom economico, che rinnegava le radici in nome del modello consumo che andava in quegli anni instaurandosi, per poi consolidarsi progressivamente, fino ad affermarsi come unico ed ultimo riferimento ideologico nel contesto contemporaneo. Parise metteva già allora in guardia dall'inganno perpetrato dall'equazione consumo=sviluppo. Nel suo articolo arrivava a rovesciare la dicotomia povertà e ricchezza, rivendicando il valore di una povertà consapevole e dignitosamente libera: " Povertà è una ideologia, politica ed economica. Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua. Povertà e necessità nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione, necessaria è la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l’automobile, le motociclette, le famose e cretinissime “barche ... Povertà vuol dire, soprattutto, rendersi esattamente conto (anche in senso economico) di ciò che si compra, del rapporto tra la qualità e il prezzo: cioè saper scegliere bene e minuziosamente ciò che si compra perché necessario, conoscere la qualità, la materia di cui sono fatti gli oggetti necessari. Povertà vuol dire rifiutarsi di comprare robaccia, imbrogli, roba che non dura niente e non deve durare niente in omaggio alla sciocca legge della moda e del ricambio dei consumi per mantenere o aumentare la produzione ... Povertà è assaporare (non semplicemente ingurgitare in modo nevroticamente obbediente) un cibo: il pane, l’olio, il pomodoro, la pasta, il vino, che sono i prodotti del nostro paese; imparando a conoscere questi prodotti si impara anche a distinguere gli imbrogli e a protestare, a rifiutare. Povertà significa, insomma, educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita." Quello che Parise identifica con il termine "povertà" sembra avere a che fare con una forma di consapevolezza critica, con una misura morale delle azioni che determinano le nostre scelte, con il valore culturale come fondamento di un comportamento libero da condizionamenti, strumento necessario per stabilire la priorità tra ciò che realmente è necessario e ciò che è ridondante e superfluo. Possiamo provare a sostituire il termine 'povertà' di Parise con il termine 'sostenibilità' per vedere come questo vocabolo - tanto abusato ai giorni nostri - funzioni perfettamente nel ragionamento dello scrittore. La sostenibilità si fonda sulla consapevolezza, su una presa di coscienza critica della scala dei valori e sulla nozione di cultura. Sostenibilità è "ideologia, politica ed economica" secondo l'analisi parisiana. Anche il modello di consumo è ideologia (politica ed economica), spesso abbiamo l'impressione che trascenda il concetto stesso di ideologia per affermarsi come dogma. Il nostro sistema avvalla infatti l'equazione consumo = sviluppo in forma dogmatica. Il consumo come condizione necessaria allo sviluppo. L'intuizione di Parise - e di Pasolini, suo contemporaneo - sta nel mettere in relazione diretta concetti quali libertà, cultura, bisogno (ciò che è necessario) e consumo. La cultura crea consapevolezza e ci libera dai condizionamenti, è lo strumento che orienta le nostre scelte secondo un modello che potremmo definire dei bisogni. All'opposto Parise colloca "la moda", condizionamento del gusto secondo il modello antitetico, quello del consumo. Negli anni '70 il concetto di moda era agli albori ma è nei decenni successivi che il binomio consumo - moda si affermerà come modello vincente estendendosi a diversi settori del mercato per autoproclamarsi infine, negli anni '90, come valore culturale. E apparentemente se la moda pervade la cultura i due modelli antitetici si toccano e si compenetrano creando un corto circuito nell'analisi parisiana. Ma la cultura per Parise è altro, non tutta l'esperienza e la conoscenza costituiscono cultura. La cultura non può prescindere dal senso etico del fine collettivo ed è proprio in questo presupposto antropologico che riscontriamo la grande attualità del pensiero di Parise. La cultura ci rende consapevoli e la consapevolezza ci colloca necessariamente nel mondo, insieme agli altri esseri, tutti. Ecco perché cultura, etica e sostenibilità sono concetti indissolubili. I meccanismi di condizionamento del gusto e dei comportamenti non operano nel quadro del bisogno e dell'etica collettivi, rispondono esclusivamente al modello di consumo dal quale dipendono. Oggi comprendiamo che la crescita illimitata dei consumi è insostenibile, ci porta necessariamente verso un punto di rottura, il punto dove non solo non potremo più permetterci sprechi ma diventerà critico anche rispondere ai bisogni primari. Questo già avviene per la maggior parte della popolazione, quella che vive ai margini della nostra economia, al sud del mondo. Come Parise ci spiegava 50 anni fa è necessario pensare a un prodotto che duri nel tempo, che sia fabbricato bene, che non sia rapidamente deperibile e non contribuisca quindi a generare rifiuti o inquinamento. Il valore 'sostenibilità' è necessariamente dipendente dal concetto di qualità. Un prodotto rapidamente deperibile genera necessariamente inquinamento. All' enorme quantità di spreco, indotto dalla deperibilità del prodotto, il nostro sistema risponde incentivando e incoraggiando la pratica del riciclo. Ma il riciclo perpetua la logica del consumo deperibile e ci offre una risposta ingannevole. Negli anni '70 il concetto di riciclo era ancora sconosciuto o scarsamente indagato ma certamente intellettuali come Parise oggi sarebbero in grado di cogliere gli aspetti mistificatori che stanno alla base del concetto di riciclo. Il problema dell'uso sbagliato delle risorse non viene affrontato in termini strutturali, anzi si asseconda il costume dello spreco lavandosi la coscienza con la falsa prospettiva del riciclo. Il concetto di riciclo è l'argomento chiave del cosiddetto marketing verde ed esprime in realtà l'ipocrisia di fondo del nostro sistema che non ha il coraggio e non avverte l'urgenza di impegnarsi in una visione realmente alternativa al modello sviluppo - consumo. Emblematico il caso della plastica che genera rifiuti non degradabili, inquina in fase di produzione, richiede ingenti energie per il processo di lavorazione ma soprattutto produce inquinamento irreversibile che si moltiplica esponenzialmente al ritmo del consumo.
La plastica è la prima causa dell’inquinamento degli oceani e dei fondali marini e determina una minaccia concreta per la sopravvivenza di molte specie di flora e fauna selvatica. La plastica, anche se riciclata, genera comunque inquinamento in fase di trasformazione, genererà necessariamente ulteriori rifiuti non degradabili e soprattutto perpetua la cultura del suo utilizzo. E’ necessario pensare con coraggio ad alternative per abbandonare progressivamente l’uso di questo materiale. Anche il caso del riciclo legno è significativo, abbiamo dedicato un precedente articolo alla distorsione del concetto di ecologia applicato alla produzione dei pannelli di particelle, in particolare dei pannelli in truciolare. La scelta di sostenibilità che siamo chiamati a compiere deve necessariamente determinare un cambio di sistema, non sono più sufficienti misure marginali di correzione o mitigazione degli effetti del consumismo. E' necessario mettere in discussione quel concetto di sviluppo-consumo di cui già gli intellettuali degli anni '70 avvertivano il pericolo. Il cambiamento deve cominciare dalla chiarezza sui concetti in termini semantici. Siamo abituati a utilizzare correntemente il termine “consumatori” accettando di identificarci con questa categoria. Siamo abituati a pensare al consumo come l’unico modello di sviluppo possibile. Il consumo però, secondo l’accezione corrente, comporta degrado, spreco, inquinamento ed esaurimento progressivo e irreversibile delle risorse a nostra disposizione. Dovremmo pensare a un modello che abbia come protagonisti utilizzatori consapevoli e non consumatori indiscriminati. Un modello nel quale i prodotti siano fatti per durare, siano realizzati con materiali che non inquinano e che possano essere rigenerati e non riciclati. Un modello che punti alla qualità per tutti, comprare meno cose, più durevoli e solo se necessarie. Ma il concetto di deperibilità del prodotto non dipende solo dalla qualità del materiale con cui è realizzato. La deperibilità, nel sistema consumistico, è un valore. E' un valore perché produce ricchezza. Quella ricchezza illusoria contro la quale Parise rivendicava la dignità di una consapevole povertà. Come già anticipato si individua il caso più eclatante nel mercato della moda. La moda identifica il suo punto di forza proprio nel concetto di deperibilità. Il sistema di consumo si basa sul condizionamento del gusto finalizzato a realizzare prodotti che nascono, invecchiano e muoiono nell'arco di una stagione. Ma Parise - ben 50 anni fa - dimostrava di essere in grado di smascherare un altro aspetto del binomio moda - consumo. Il concetto di bellezza e di piacere estetico legato appunto al prodotto di consumo. La bellezza come aspirazione ha a che vedere necessariamente con la libertà e con l'emozione: "La povertà ... è conoscere le cose per necessità ... povertà è anche salute fisica ed espressione di se stessi e libertà e, in una parola, piacere estetico. Comprare un oggetto perché la qualità della sua materia, la sua forma nello spazio, ci emoziona. Per le ideologie vale la stessa regola. Scegliere una ideologia perché è più bella (oltre che più “corretta”, come dice la linguistica del mercato degli stracci linguistici). Anzi, bella perché giusta e giusta perché conosciuta nella sua qualità reale." Infatti un'altra delle mistificazioni operate dal mercato è quella di portarci a identificare la moda con l'aspirazione che tutti noi abbiamo alla bellezza. Siamo convinti che l'aspirazione al bello sia da annoverare tra i bisogni primari, per questo la priorità dell'arte e di quella cultura a matrice collettivo e morale di cui accennavamo in precedenza. Ma in che modo il mercato del gusto e della moda avrebbe a che fare con la ricerca legittima del bello ? La ricerca del piacere estetico, come dice Parise, si fonda nella libertà, di pensiero, di ideali e anche di emozioni, non è qualcosa che possa essere mercificato o sottoposto alle regole del commercio e del profitto. Non può esistere alcuna bellezza nello spreco e nel deperimento dell'ambiente indotti dal consumismo. Un' automobile costosa può solo esprimere volgarità nel contesto di povertà e degrado estremi in cui versano l'umanità e l'ambiente. Non vi è bellezza nell'ostentazione, nell'ingiustizia, nella disuguaglianza sociale. Per questo ci sentiamo di concludere dicendo che è necessario ristabilire la scala dei bisogni e delle priorità, riconvertire verso l'utile. Rinunciare al superfluo e condividere il necessario. Questa è la grande sfida etica e sostenibile sulla quale siamo tutti chiamati all'impegno. E in questa scelta ritroveremo anche una nuova dimensione di bellezza e di equilibrio, nell'armonia con il mondo che popoliamo e nella solidarietà con i nostri simili. riferimenti bibliografici: https://www.globalist.it/media/2020/04/05/il-rimedio-e-la-poverta-perche-goffredo-parise-scrisse-questo-memorabile-articolo-2055630.html?fbclid=IwAR0VifCsM_DvA2maYqnQZapjkrzIsuZZS8TpRaaSDt7vdhuq-fYSOvohYsE
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